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giovedì 28 gennaio 2010

Parliamo di: NIGERIA



La Nigeria si trova nell'Africa occidentale, è lo stato più popoloso del continente con circa 150.000.000 di abitanti. E' al 166° posto come PIL pro capite e l'indice di sviluppo umano è fra i più bassu, con lo 0,47%, al 158° posto. E' al 140° posto su 177 paesi per il tasso di alfabetizzazione. Il paese è nel golfo di Guinea, le sue città più importanti stanno nelle pianure del sud, mentre le pianure del nord sono molto più aride. Al centro ci sono colline e altipiani. I fiumi Niger e Benue la dividono praticamente in 4 parti, poi si incontrano e raggiungono l'Atlantico formando il delta del Niger. Il clima è equatoriale, la stagione delle pioggie dura da 4 a 7 mesi all'anno, poi viene la stagione asciutta. Nella zona costiera le piogge sono più distribuite e diminuiscono leggermente in inverno.

Ci sono 250 gruppi etnici circa, a nord la maggioranza sono Hausa - Fulani, a sud-ovest Yoruba, nell'area sud-orientale la mggioranza è Igbo. Queste 3 etnie sono chiamate le Big Three e hanno caratterizzato la conflittualità politica nigeriana. Gli Hausa-Fulani sono soprattutto musulmani, mentre fra gli Igbo prevale il cristianesimo.

Dal 1960, ovvero da quando la Nigeria si è resa indipendente dall'Inghilterra, il problema ha sempre riguardato la posizione delle risorse e la divisione del potere fra nord e sud, che l'Inghilterra amministrava come se fossero due stati diversi.
Lo squilibrio di poteri fra il nord, favorito, e il sud, più produttivo ma politicamente svantaggiato, ha portato nel 1967 alla guerra civile più sanguinosa della Nigeria, la guerra del Biafra, dove il sud abitato dagli Igbo tentò di separarsi. La guerra durò dal 6 luglio 1967 al 13 gennaio 1970, il governo reagì duramente portando popolazioni di regioni intere ad essere decimate dalla fame: si stimano 3.000.000 di morti, la maggior parte per cause non belliche: fame e malattie. La maggioranza delle infrastrutture Igbo fu distrutta, l'accesso ai conti correnti agli appartrenenti a quell'etnia ristretto, gli Igbo furono discriminati e negli anni '70 divennero uno dei gruppi tecnici più poveri della Nigeria. L'amministrazione di città a forte prevalenza Igbo, quale Port Harcourt, fu affidata a gruppi etnici rivali.

La guerra civile aveva fatto si che il governo militare di Johnson Aguiyi-Ironsi, che si era insediato nel 1966 con un colpo di stato, si consolidasse. Nel dopoguerra questo governo fu di nuovo accusato di distribuire i proventi del petrolio del Delta del Niger in modo imparziale, favorendo il nord a di scapito, nuovamente, del sud (ex Biafra), ma rimase in carica in un clima di tensioni etniche continue. La corruzione raggiungeva (e raggiunge) livelli allucinanti.
Furono varate leggi che vietavano la costituzione di partiti basati sull'appartenenza etnica, ma è quasi impossibile farle rispettare. Il 29 maggio 2000 il giornale The guardian of Lagos riportò che il presidente Olosegun Obasanjo aveva deciso di concedere la pensione di guerra anche a chi aveva combattuto nelle forze del Biafra. Nelle elezioni precedenti aveva avuto un forte sostegno da parte degli Igbo.

Nel 1999 l'esercito lasciò pacificamente il potere dopo 16 anni di dittatura militare, con la vittora di Olosegun Obasanjo, che licenziò centinaia di militari che detenevanocariche politiche, stabilì una commissione d'indagine per investigare sulle violazioni dei diritti umani, fece rilasciare i detenuti senza prove, rescisse i discutibili contratti di licenza stipulati dai militari, si mosse per la restituzione di milioni di $ nascosti in conti esteri.
Aumentarono i diritti umani e la democrazia, oltre alla libertà di stampa; ma col federalismo iniziaronoi primi problemi fra stato centrale e i governatori degli stati.

Ovvia, ora si comincia.
Ritornano le violenze interetniche, nel 1999 scoppiano violente dimostrazioni nello stato di Kaduna a causa delle lotte per la successione ad un emiro: 100 vittime e passa in un giorno solo. Aa novembre del 1999 l'esercito distrugge la città di Odi, in Bayelsa, uccidendo moltissimi civili per vendicare i 12 poliziotti uccisi da parte di malviventi locali. Sempre a Kaduna, fra febbraio e maggio nel 200 muoiono più di 1000 persone durante gli scontri per l'introduzione della Shari'a nella legge dello Stato; per rappresaglia vengono uccise centinaia di persone di etnia Hausa nel sud della Nigeria. Settembre 2001: più di 2000 persone morte negli scontri religiosi a Jos, nell'ottobre 2001 vengono uccise centinaia di persone emigliai adevono fuggire per violenze interetniche nella zona centrale del paese.

Nonostante l'urbanizzazione piùttosto brusca e costante la Nigeria resta un paese rurale: il 10% della popolazione lavora nell'industria, il 70% vive di agricoltura, pesca e pastorizia basate spesso su un'economia di sussistenza. La ridistribuzione della ricchezza è fra le peggiori al mondo.
Il paese è in crisi economica da anni, e da esportatore di cibo è diventato importatore, 3/4 della popolazione viva con poco più di 1 $ al giorno, in 18 regioni nigeriane il tasso di povertà è pari al 50% o superiore. In molte aree mancano i servizi di base più elementari quali acqua potabile, ospedali, scuole e strade. L'acqua infetta porta malattie curabili che diventano però mortali per chi non si può permettere le cure: tifo, diarrea, epatite A, malaria. Il 94% dei casi di poliomelite africani si trovano in Nigeria, nel 2003 la metà dei casi di poliomelite mondiali erano in Nigeria, nel 2004 anche a causa dei capi religiosi musulmani avversi ai vaccini i casi sono quintuplicati, e se ne sono presentati alcuni anche nei paesi confinanti, dove la polio era stata debellata. I capi religiosi musulmani erano convinti che i vaccini fossero un sistema dei paesi occidentali per rendere sterili le ragazze musulmane nigeriane. Nle maggio del 2004 lo stato di Kano ha accettato di riprendere le vaccinazioni, ma con vaccini prodotti in Indonesia non volendo quelli statunitensi.
Il primo caso ufficiale di AIDS fu diagnosticato in Nigeria nel 1986, e da allora la malattia è cresciuta continuamente: nel 2005 era arrivata al 5,4% della popolazione, cioè 3.000.000 di persone, in alcune zone toccava l'otto e due percento. Circa il 5% delle donne incinte sono infette dall'HIV e circa 300.000 bambini nascono già infetti. 99 bambini su 1000 muoiono entro il primo anno di vita, e 191 entro i primi 5 anni. La speranza di vita è di 47 anni.

Il petrolio è la fortuna e la maledizione della Nigeria: la sua estrazione causa gravi danni ambientali: inquinamento di acqua, aria e suolo, degradazione e sterilità delle terre coltivabili, avvelenamento delle acque e morte della fauna ittica, deforestazione per cercare nuovo suolo coltivabile. Il petrolio forma strati oleosi sul terreno, sulle rive dei fiumi. Basta infilare una mano nell'acqua per tirarla su nera, e tutto grazie alla cattiva manutenzione degli oleodotti da parte delle imprese petrolifere. Il petrolio penetra nella terra.
E' possibile che in una nazione che è fra le prima esportatrici di petrolio da 30 anni, che ha incassato più di 320 milioni di dollari di Royalties, il 75% della popolazione viva sotto la soglia di povertà?
Si.
Dal delta del Niger partono milioni di barili di petrolio dal 1970, la Nigeria è il primo esportatore di oro nero del continente. Tutti questi soldi finiscono in tasca ai politici e alle giunte militari corrotte del paese.
La popolazione ha conosciuto solo l'inquinamento, la criminalità che è aumentata con le gang armate che si contendono il territorio e fanno soldi contrabbandando il petrolio spillato illegalmente dagli oleodotti e rivenduto alle navi che aspettano al largo, le violenze della polizia che usa la mano pesante per proteggere gli oleodotti, base dell'economia. Fra il 2003 e il 2005 furono chiusi numerosi impianti per i continui rapimenti ed uccisioni dei dipendenti.

Un prete di Port Harcourt, le cui parole sono state confermate da Amnesty International, rivela che la polizia non distingue fra i civili e le gang: entrano nei villaggi, distruggono tutto e saccheggiano tutto quello che possono portare via. La gente non vede i proventi petroliferi e vive nella miseria nera, il governo locale (la Nigeria è federale) chiede spesso a quello federale una fetta più grande di questi proventi per programmi di sviluppo e sussistenza sul territorio, ma dalla capitale non risponde nessuno.

L'insoddisfazione e i problemi sfociano nella lotta armatacon la nascita del NDPVF (Niger Delta People's Volounteer Forces), che operano nella regione da anni e hanno strappato al presidente un accordo segreto dopo aver minacciato attacchi agli impianti e ai dipendenti. Indipendentemente dall'accordo nel Delta si continua a morire di petrolio.

Una delle etnie più presenti nel Delta del Niger è quella degli Ogoni, cui apparteneva anche Ken Saro Wiwa: poeta, scrittore, drammaturgo nigeriano che si fece promotore del MOSOP (Moviment For The Survival Of The Ogoni People) e denunciò più volte le condizioni di vita della sua gente. Fu fatto impiccare dalla Shell dopo un processo farsa con false accuse, la Shell ha pagato 11,1 milioni di euro per evitare il processo intentatogli nel 1996 dal Genny Green del Center for constitutional rights di New York, processo aperto proprio per la morte di Ken Saro Wiwa.
Al momento l'unica cosa che interessa al governo, cosa per la quale ha lasciato che la Shell ammazzasse uno dei suoi poeti, è che la produzione di petrolio non diminuisca. Pace all'anima della gente della Nigeria.

Le compagnie che ciucciano sangue e petrolio da questo paese e gli lasciano le scorie sono: AGIP, ELF, SHELL, ENI, CHEVRON. Nel 1993 5000 persone manifestarono contro una raffineria ELF a Obagi, la MPF (Mobile Police Force) reagì bruciando e saccheggiando villaggi e picchiando e ferendo le persone.
Il mese successivo 3000 persone che manifestavano a Brass contro uno stabilimento dell'AGIP sono stati dispersi coi lacrimogeni e picchiati da marina militare e MPF. Il loro villaggio è stato isolato per 9 mesi.
Nel gennaio 1993 alla grand emanifestazione degli Ogoni contro la Shell, 100.000 persone portate in strada da Ken Saro Wiwa, è seguita la repressione con 27 villaggi distrutti, 80.000 profughi, 2000 morti.

Il delta del Niger è una zona franca dei diritti umani, dove il governo non può o non vuole mettere le compagnie petrolifere davanti alle loro responsabilità. Amnesty parla di fuoriuscite di greggio, discariche abusive delle compagnia, gas flaring.
Il gas flaring è la pratica illegale di bruciare il gas che fuoriesce dai pozzi di petrolio e dalla sua lavorazione, invece di trattarlo e rivenderlo. E' energia, e potrebbe essere riutilizzato, ma per le compagnie petrolifere è un processo che costa troppo. E' una pratica spaventosamente inquinante, butta nell'aria Co2, benzene ed altre amenità, eppure circa 1000 pozzi hanno il loro bravo pennacchio di fuoco. Nel Delta sembra che albeggi anche a notte fonda. I bambini si ammalano d'asma sempre più spesso, aumentano cancro e sterilità, moltissime persone hanno strane lesioni cutanee. Piaghe.
Chi vive nel delta è costretto a bere, cucinare e lavarsi con acqua mista a petrolio, a mangiare cibo contaminato da petrolio e tossine, la loro terra si sta distruggendo per portare soldi nelle tasche di pochi e far viaggiare le nostre macchine. Il governo nigeriano è al corrente delle condizioni del Delta ma non si è mai mosso, e le compagnie hanno tutto l'interesse a far si che ciò non succeda.

Ultimamente in Nigeria sono scoppiate di nuovo le violenze religiose, cosa che nei nostri telegiornali praticamente inutili non è nemmeno passata. La novità è che adesso l'odio viaggia via SMS: messaggini sul cellulare che inneggiano all'odio e alla battaglia mandati soprattutto a ragazzini, i più influenzabili. Una media di 84 morti ogni 24 ore. A Jos in 4 giorni sono morte 326 persone, a Kuku Rama sono stati trovati 150 cadaveri. Si parla di minimo 550 persone gettate nei pozzi, fogne e canali di irrigazione, altri cadaveri sono stati ammucchiati e bruciati in massa.

mercoledì 7 ottobre 2009

Pensiero estemporaneo.



Scusatemi l'assenza, sono giorni concitati. Mettiamola così.
Ergo, vediamo di fare un sunto di quello che ci siamo detti e che non ho avuto il tempo di scrivere.
Il primo è un pensiero estemporaneo: ti svegli la mattina e che fai? Accendi la luce, apri il rubinetto, ti lavi la faccia, vai a razzolare in frigorifero, fai colazione, esci e vai al lavoro (o a scuola, o dove devi andare)...sempre che tu non abiti all'Aquila o a Giampilieri, li la cosa potrebbe farsi un tantino più problematica. Comunque.
Cambiamo paese.
Io mi sveglio in Africa. O in Iraq. O in Afghanistan. Eccetera. Ti alzi la mattina e che fai? Intanto bisogna vedere se ti alzi, perchè se qualche aereo per sbaglio ti ha bombardato la casa non ti alzi proprio. Comunque, mettiamo che ti alzi. Ti alzi e forse accendi la luce. Se sei a Gaza devi sperare che l'elettricità ci sia, perchè è razionata ed arriva solo per poche ore al giorno. Se sei in Iraq o in Afghanistan magari sono andati giù i tralicci e non c'è corrente. Se sei in Africa magari la corrente non c'è, e rizzati. Quindi ti alzi e se ti va bene accendi la luce.
Arriviamo al rubinetto?
Qui ti alzi e lo apri. Facile. Se sei in Africa invece ti alzi, prendi una tanica, te la piazzi in testa e ti fai chilometri e chilometri per arrivare a un pozzo. Fai la fila per l'acqua sperando che non sia infetta, perchè spesso non ci sono ne acquedotto ne depuratore. E speri anche che i tuoi figli bevendola non diventino ciechi, perchè certi batteri che ci sono nell'acqua fanno questo ed altro. Se sei in Afghanistan magari ti capita di rincorrere un furgone carico di soldati che ti fanno vedere una bottiglia d'acqua per farti rincorrere, un po' come andare a pescare. E ti fanno pure un video. E da bravi coglioni lo mettono su internet. E' molto edificante sentire soldati che ridono e che dicono "guarda come corre". Se sei in Iraq devi sperare che a nessun kamikaze venga voglia di farsi saltare in aria vicino a te, o che non ti sparino prendendoti per un terrorista. O che non parta una bomba umanitaria per sbaglio. A Gaza, vedi sopra.
In tutti questi casi, se riesci a prendere l'acqua, spesso è il caso di bollirla che non si sa mai. Fatto ciò, se puoi farla bollire, ti ci lavi, la bevi eccetera. Ovviamente razionandola.
Della colazione presa dal frigo non parliamone.
Quello che voglio far capire è questo: noi, parte felice di questo Mondo, diamo tutto questo per scontato. Diamo anche scontatodi arrivare vivi alla fine della giornata. E neanche troppo lontano da noi c'è gente che si alza la mattina e non sa se tornerà a dormire la sera. E noi non ci pensiamo, andiamo avanti come un branco di sassi...non so voi, ma è una cosa che mi spaventa a morte.
Tu vivi in questo modo e mettiamo che per sopravvivere dai tutto quello che hai a un tipo che di mestiere fa lo scafista e scappi. E quando arrivi (se ti vabene) diventi un criminale in automatico, perchè inq uesto paese c'è una cosa che si chiama "reato di clandestinità". Magari sei la persona migliore del mondo, ma sei clandestino. E quindi automaticamente un criminale.
Volete sapere una cosa? A noi i bambini africani piacciono quando stanno in Africa a morire di fame, quando arrivano da noi per sopravvivere ci fanno schifo in automatico. Abbiamo inventato l'eutanasia coatta a distanza.





sabato 24 gennaio 2009

Abbiate pazienza e leggete (da Misteri d'Italia)



LA NEWSLETTER
DI MISTERI D'ITALIA
Anno 10 - Numero 126 - gennaio 2009DOPO IL MASSACRO DI GAZA
PERCHÉ ISRAELE
HA NUOVAMENTE PERSO LA GUERRA
I RETROSCENA DI UN'AGGRESSIONE

Dice il Talmud:
"se salvi una vita è come
se avessi salvato il mondo".
E se uccidi 1.340 persone?


IN QUESTO NUMERO:
Dieci domande e dieci risposte sull’invasione della Striscia di Gaza
Ebrei del mondo ed israeliani contro la guerra
Le armi micidiali (ed illegali) di Tsahal
DIECI DOMANDE E DIECI RISPOSTE SULL’INVASIONE DELLA STRISCIA DI GAZA
Uno degli analisti più lucidi a proposito dell’attacco israeliano a Gaza si è dimostrato essere Loretta Napoleoni che il 14 gennaio sull’Unità ha scritto: “Israele procede nella sua operazione di ‘ripulitura’ della striscia di Gaza indifferente alle proteste del mondo. C’è una sola cosa di cui si preoccupa: il tempo”. Spiegava poi la Napoleoni che la guerra deve essere interrotta entro e non oltre il 21 gennaio perché quel giorno Obama sarà al posto di Bush e se il conflitto dovesse continuare dovrà dire la sua.
Una previsione quella di Loretta Napoleoni, azzeccata in pieno. Israele ha unilateralmente dichiarato la fine dell’attacco il 18 gennaio, appena tre giorni prima dell’effettivo insediamento del nuovo presidente americano.
Questa decisione israeliana spiega molte cose sul significato della sua violentissima aggressione a Gaza. E una su tutte: con la fine dell’era Bush non è così certo che Israele avrà sempre e comunque al suo fianco gli Stati Uniti. Almeno questo è l’auspicio del mondo civile.
Per meglio capire i 22 giorni di follia che hanno sconvolto una delle zone più povere e sovraffollate del pianeta ecco 10 domande 10 risposte.

Chi ha rotto la tregua?
Se è vero quanto scrivono diversi quotidiani israeliani l’attacco a Gaza era in preparazione già dall’estate 2008. E’ nei fatti impensabile che un simile dispiegamento di forze aeree, navali e terrestri avvenga nel giro di poche ore a seguito del lancio di razzi Qassam sul Neghev da parte di miliziani di Hamas. La scelta del 27 dicembre come data per l’attacco è stata sicuramente suggerita, oltre che dalla necessità di precedere l’insediamento del nuovo inquilino della Casa bianca, anche dal bisogno che il governo di centro-sinistra, guidato dalla troika Olmert-Barak-Livni, aveva di mostrare i muscoli in vista delle elezioni politiche del prossimo 10 febbraio nelle quali la destra estrema di Nethanyahu è favorita.
In ogni caso non è stato Hamas con il lancio dei suoi rudimentali razzi a rompere la tregua, dal momento che la tregua (in scadenza il 19 dicembre) era già stata rotta da Israele alcuni giorni prima quando un commando israeliano, penetrato nella striscia, aveva assassinato tre dirigenti dell’organizzazione che ha legittimamente vinto le elezioni su quel territorio.

Quali erano gli obiettivi di Israele?
Ogni guerra per essere tale deve avere degli obiettivi politici e militari. L’obiettivo politico di Israele era certamente l’annientamento o almeno un forte indebolimento di Hamas. Quello militare la distruzione della rete sotterranea di approvvigionamento (circa 3000 tunnel) che i militanti di Hamas hanno scavato e che gestiscono pienamente sul confine nei pressi di Rafah che divide la striscia dall’Egitto. Attraverso questo reticolo di tunnel (necessario anche per l’approvvigionamento di beni di prima necessità per la popolazione palestinese, visto il totale embargo israeliano), Hamas si rifornisce di armi proprio dal vicino Egitto. A rifornire materialmente Hamas sono i militanti egiziani dell’organizzazione Fratelli musulmani, ma da lì passano anche gli aiouti siriani ed iraniani.

Quali obiettivi Israele ha raggiunto?
Praticamente nessuno. L’obiettivo politico, l’annientamento o l’indebolimento di Hamas, è pienamente fallito a meno di non volerlo ridurre all’uccisione di circa 300 militanti tra cui un solo dirigente, il “ministro dell’Interno” della striscia, Said Siam. Il nucleo di ferro di Hamas, in parte a Damasco, non solo è uscito indenne dalla guerra, ma addirittura sentimentalmente rafforzato nel cuore dei palestinesi di Gaza.. Disatteso anche l’obiettivo della distruzione dei tunnel, colpiti solo al 10%.

L'attacco israeliano è stato proporzionato?
In guerra il concetto di proporzione non esiste. Così come non esiste il fair play. Una guerra la si prepara e la si provoca per vincerla. E in ogni guerra chi la promuove calcola sempre preventivamente quanti civili saranno uccisi. Quindi Israele sapeva benissimo prima dell’attacco che i bombardamenti e poi le incursioni da terra avrebbero provocato numerose vittime tra i civili.
Detto questo se le guerre permettessero di misurare la proporzione, Israele avrebbe compiuto una spedizione punitiva con un rapporto di 1 a 100, di dieci volte superiore alle leggi della rappresaglia applicate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Il conto delle vittime della guerra di Gaza è infatti molto semplice: contro i 13 israeliani morti (10 soldati - alcuni uccisi da fuoco amico - e tre civili, di cui un cittadino israeliano di origine palestinese), ci sono 1340 morti palestinesi (di cui 418 bambini, 125 donne e 797 uomini).

Oggi chi è più forte in Israele?
Dopo le guerre sono sempre i falchi della politica a vincere. E’ quasi una legge naturale. In primo luogo perché loro possono dire di avere sempre sostenuto il pugno di ferro, mentre i loro avversari hanno spesso tentennato. In secondo luogo perché gli elettori israeliani (specie quelli delle città del Negev), consci che l’aggressione di Gaza non ha portato risultati concreti nel loro vivere quotidiani si rivolgeranno proprio ai falchi. L’idea criminale di Olmert-Barak-Livni, sponsorizzati dal finto pacifista Peres, capo dello Stato israeliano, il 10 febbraio potrebbe dimostrasi anche demenziale e autolesionista se, come dicono i sondaggi, la destra vincerà le elezioni a mani basse.

Oggi chi è più forte in Palestina?
Certamente il nucleo duro di Hamas, anche a discapito delle colombe dell’organizzazione fondamentalista e terrorista, esce rafforzato dall’aggressione israeliana. Ne esce praticamente distrutta l’immagine dei palestinesi moderati della Cisgiordania (che sono stati a guardare) e del presidente dell’Anp Abu Mazen, ormai privo di ogni credibilità e ritenuto da ampi settori della resistenza palestinese un fantoccio di Israele.
Il dato in qualche modo sconvolgente è che Hamas, organizzazione fondata nel 1987, è in qualche modo da ritenersi una creatura di Israele che agli albori arrivò addirittura a finanziarla occultamente per usarla in funzione anti-Arafat. Come accadde in Afghanistan agli americani con l’organizzazione di bin Laden, anche a Gaza gli israeliani hanno creato il mostro contro cui oggi sono impegnati.

Le vittime civili si potevano evitare?
Una domanda questa che ha già avuto una risposta più sopra. Ma che merita un approfondimento. Le scuole dell’Onu colpite dall’aviazione e dall’esercito israeliano, il tiro sulle autoambulanze della crocerossa, il media center pieno di giornalisti centrato sul finire dell’attacco, la stessa casa del ginecologo Izzedin Abu al-Aishxy distrutta il 16 gennaio con tre figlie dentro mentre il padrone di casa era in diretta sulla tv israeliana Canale 10, la dicono lunga sulla volontà israeliana di non distinguere tra palestinesi combattenti di Hamas e inermi, soprattutto donne, anziani e bambini.
E’ impensabile che 418 bambini siano da considerare “effetti collaterali” di attacchi mirati. Né vale la mai dimostrata affermazione di parte israeliana che le case civili colpite da missili, bombe, granate e colpi di cannone siano stati covi di estremisti islamici che tenevano in ostaggio dei civili. E’ una bugia che Israele ha cercato di accreditare anche nell’estate del 2006, durante l’aggressione al Libano, quando bombardò in Libano la scuola di Cana.
Ma proviamo ad ammettere solo per un attimo che le menzogne di Israele abbiano un fondamento. In qualsiasi contesto gli ostaggi hanno diritto alla protezione. Se davvero donne e bambini erano ostaggi di spietati criminali terroristi di Hamas perché bombardarli? Quando degli ostaggi sono tenuti prigionieri, ad esempio in una banca, il compito di chi interviene è quello per prima cosa di tutelare la vita degli ostaggi. Quando l’equazione diventa ostaggi palestinesi uguale nemici palestinesi tout court non c’entra più neanche la guerra. Si tratta solo di elementari principi di civiltà. Che, evidentemente, Israele, paese che si dice democratico, non possiede.
Uno degli elementi che in ogni guerra spinge gli attaccanti a non tenere conto dei civili deriva da una convinzione sbagliata. Quella che se terrorizzi i civili, gli stessi si rivolteranno contro i loro leader. E’ accaduto che avessero questa errata convinzione gli americani che durante la seconda guerra mondiale rasero al suo città d’arte e prive di qualsiasi infrastruttura bellica come Dresda, senza però che gli abitanti di questa città muovessero un dito contro i loro capi nazisti. E’ accaduto, ancora agli americani, nella guerra del Kosovo (1999) quando deliberatamente attaccarono un treno carico di passeggeri serbi e la torre della televisione di Belgrado. Più recentemente è accaduto in Georgia dove l’aviazione e i carri armati russi hanno martoriato la popolazione civile. Risultato: mai nessuna ribellione interna.
L’unico vero effetto sui civili martoriati è che gli stessi anziché ribellarsi ai loro capi politici, si stringono ancora di più attorno a loro.

Israele ha usato o no armi illegali?
Per rispondere a questa domanda pubblichiamo in fondo a questo numero della Newsletter un articolo di Massimo Zucchetti, esperto in armamenti.

Cosa sono i razzi Qassam usati da Hamas?
Il razzo Qassam è un rudimentale ordigno in acciaio pieno di esplosivo prodotto da Hamas. Ne esistono diversi modelli che hanno una gittata che varia dai 3 ai 45 chilometri. Non hanno bisogno di artiglieria per essere lanciati e sono privi di qualsiasi sistema di guida.
Lo sviluppo di questo tipo di arma è iniziato nel 2000. Si tratta di razzi, scarsamente intercettabili, costruiti con l’apposito intento di mettere in difficoltà lo stato ebraico. A partire dal 2000 Hamas ha lanciato sulle città del Negev (le più colpite Ashlkelon e Sderot) oltre nove mila di questi razzi, provocando complessivamente dieci vittime. Teoricamente un Qassam potrebbe colpire anche Tel Aviv.
I danni provocati dai Qassam sono sempre assai limitati e comunque non paragonabili a quelli delle armi convenzionali e non convenzionali di cui dispone Tsahal (l'esercito israeliano), ma hanno comunque un fortissimo impatto emotivo sulla popolazione israeliana che vive nelle zone limitrofe alla Striscia di Gaza fino a 45 km da essa. C’è da aggiungere che la facilità di costruzione ed il loro basso costo rendono per Israele la minaccia costante e cronica e certamente non limitata ad un periodo di tempo.

Perché Israele ha paura dell'informazione?
Evidentemente perché ha la coscienza sporca e vuole agire indisturbata. Ecco cosa afferma il segretario generale di Reporters sans frontiéres, Jean-Francois Juluard:

“Durante gli attuali combattimenti l'informazione sembra essersi fermata alle porte di Gaza. Il blocco - l'ennesimo - imposto alla stampa dall'inizio dell'operazione «Piombo fuso» pone i giornalisti stranieri ed israeliani nella più assurda delle situazioni: non possono avvicinarsi né documentare da vicino quello che è già risaputo a livello internazionale. Una situazione paradossale, come ammette anche un portavoce della diplomazia israeliana per il quale «l'esclusività della copertura del conflitto è lasciata unicamente ai giornalisti palestinesi». Le immagini e le informazioni offerte dai reporter di Gaza riescono invece a cortocircuitare il blocco imposto e la comunità internazionale le riceve: assurdo, inutile e pericoloso. Il conflitto israelo-palestinese non è un conflitto come gli altri proprio perché porta in sé l'impatto della storia e della sua reinterpretazione. Bloccare i professionisti dell'informazione internazionali ed israeliani alle porte di Gaza non potrà che alimentare le voci ed esasperare l'odio. Se Tsahal non vuole i giornalisti, questo significa che Israele ha qualcosa da nascondere. Possiamo già immaginare le conseguenze di questo tipo di situazione. E nessuno ha interesse a che ciò accada, tanto meno Israele”.

lunedì 13 ottobre 2008

Emergency



Invia un SMS al 48587 e darai un contributo alla costruzione del
Centro pediatrico che Emergency realizzera' a Nyala, in Darfur.

"Un Centro pediatrico in Darfur. La nostra idea di pace."


Fino al 22 ottobre gli utenti Tim, Vodafone, Wind e 3 potranno inviare
un SMS al numero 48587 del valore di 1 euro oppure effettuare allo
stesso numero una chiamata da rete fissa Telecom del valore di 2 euro.
L'intero ricavato sara' devoluto a Emergency.

Per maggiori informazioni sul progetto in Darfur:
www.lanostraideadipace.org - 02.881881

lunedì 6 ottobre 2008

Simpatico e interessante referendum



Referendum del blog www.beppegrillo.it
sulla nuova base militare DAL MOLIN a Vicenza




È lei favorevole alla adozione da parte del Consiglio comunale di Vicenza, nella sua funzione di organo di indirizzo politico amministrativo, di una deliberazione per l'avvio del procedimento di acquisizione al patrimonio comunale, previa sdemanializzazione, dell'area aeroportuale "Dal Molin" - ove è prevista la realizzazione di una base militare statunitense - da destinare ad usi di interesse collettivo salvaguardando l'integrità ambientale del sito?





Chi vota SI non vuole la nuova base militare DAL MOLIN a Vicenza.
Chi vota NO vuole la nuova base militare DAL MOLIN a Vicenza.

La meglio gioventù che finisce sotto terra

Falò