sabato 24 gennaio 2009

Abbiate pazienza e leggete (da Misteri d'Italia)



LA NEWSLETTER
DI MISTERI D'ITALIA
Anno 10 - Numero 126 - gennaio 2009DOPO IL MASSACRO DI GAZA
PERCHÉ ISRAELE
HA NUOVAMENTE PERSO LA GUERRA
I RETROSCENA DI UN'AGGRESSIONE

Dice il Talmud:
"se salvi una vita è come
se avessi salvato il mondo".
E se uccidi 1.340 persone?


IN QUESTO NUMERO:
Dieci domande e dieci risposte sull’invasione della Striscia di Gaza
Ebrei del mondo ed israeliani contro la guerra
Le armi micidiali (ed illegali) di Tsahal
DIECI DOMANDE E DIECI RISPOSTE SULL’INVASIONE DELLA STRISCIA DI GAZA
Uno degli analisti più lucidi a proposito dell’attacco israeliano a Gaza si è dimostrato essere Loretta Napoleoni che il 14 gennaio sull’Unità ha scritto: “Israele procede nella sua operazione di ‘ripulitura’ della striscia di Gaza indifferente alle proteste del mondo. C’è una sola cosa di cui si preoccupa: il tempo”. Spiegava poi la Napoleoni che la guerra deve essere interrotta entro e non oltre il 21 gennaio perché quel giorno Obama sarà al posto di Bush e se il conflitto dovesse continuare dovrà dire la sua.
Una previsione quella di Loretta Napoleoni, azzeccata in pieno. Israele ha unilateralmente dichiarato la fine dell’attacco il 18 gennaio, appena tre giorni prima dell’effettivo insediamento del nuovo presidente americano.
Questa decisione israeliana spiega molte cose sul significato della sua violentissima aggressione a Gaza. E una su tutte: con la fine dell’era Bush non è così certo che Israele avrà sempre e comunque al suo fianco gli Stati Uniti. Almeno questo è l’auspicio del mondo civile.
Per meglio capire i 22 giorni di follia che hanno sconvolto una delle zone più povere e sovraffollate del pianeta ecco 10 domande 10 risposte.

Chi ha rotto la tregua?
Se è vero quanto scrivono diversi quotidiani israeliani l’attacco a Gaza era in preparazione già dall’estate 2008. E’ nei fatti impensabile che un simile dispiegamento di forze aeree, navali e terrestri avvenga nel giro di poche ore a seguito del lancio di razzi Qassam sul Neghev da parte di miliziani di Hamas. La scelta del 27 dicembre come data per l’attacco è stata sicuramente suggerita, oltre che dalla necessità di precedere l’insediamento del nuovo inquilino della Casa bianca, anche dal bisogno che il governo di centro-sinistra, guidato dalla troika Olmert-Barak-Livni, aveva di mostrare i muscoli in vista delle elezioni politiche del prossimo 10 febbraio nelle quali la destra estrema di Nethanyahu è favorita.
In ogni caso non è stato Hamas con il lancio dei suoi rudimentali razzi a rompere la tregua, dal momento che la tregua (in scadenza il 19 dicembre) era già stata rotta da Israele alcuni giorni prima quando un commando israeliano, penetrato nella striscia, aveva assassinato tre dirigenti dell’organizzazione che ha legittimamente vinto le elezioni su quel territorio.

Quali erano gli obiettivi di Israele?
Ogni guerra per essere tale deve avere degli obiettivi politici e militari. L’obiettivo politico di Israele era certamente l’annientamento o almeno un forte indebolimento di Hamas. Quello militare la distruzione della rete sotterranea di approvvigionamento (circa 3000 tunnel) che i militanti di Hamas hanno scavato e che gestiscono pienamente sul confine nei pressi di Rafah che divide la striscia dall’Egitto. Attraverso questo reticolo di tunnel (necessario anche per l’approvvigionamento di beni di prima necessità per la popolazione palestinese, visto il totale embargo israeliano), Hamas si rifornisce di armi proprio dal vicino Egitto. A rifornire materialmente Hamas sono i militanti egiziani dell’organizzazione Fratelli musulmani, ma da lì passano anche gli aiouti siriani ed iraniani.

Quali obiettivi Israele ha raggiunto?
Praticamente nessuno. L’obiettivo politico, l’annientamento o l’indebolimento di Hamas, è pienamente fallito a meno di non volerlo ridurre all’uccisione di circa 300 militanti tra cui un solo dirigente, il “ministro dell’Interno” della striscia, Said Siam. Il nucleo di ferro di Hamas, in parte a Damasco, non solo è uscito indenne dalla guerra, ma addirittura sentimentalmente rafforzato nel cuore dei palestinesi di Gaza.. Disatteso anche l’obiettivo della distruzione dei tunnel, colpiti solo al 10%.

L'attacco israeliano è stato proporzionato?
In guerra il concetto di proporzione non esiste. Così come non esiste il fair play. Una guerra la si prepara e la si provoca per vincerla. E in ogni guerra chi la promuove calcola sempre preventivamente quanti civili saranno uccisi. Quindi Israele sapeva benissimo prima dell’attacco che i bombardamenti e poi le incursioni da terra avrebbero provocato numerose vittime tra i civili.
Detto questo se le guerre permettessero di misurare la proporzione, Israele avrebbe compiuto una spedizione punitiva con un rapporto di 1 a 100, di dieci volte superiore alle leggi della rappresaglia applicate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Il conto delle vittime della guerra di Gaza è infatti molto semplice: contro i 13 israeliani morti (10 soldati - alcuni uccisi da fuoco amico - e tre civili, di cui un cittadino israeliano di origine palestinese), ci sono 1340 morti palestinesi (di cui 418 bambini, 125 donne e 797 uomini).

Oggi chi è più forte in Israele?
Dopo le guerre sono sempre i falchi della politica a vincere. E’ quasi una legge naturale. In primo luogo perché loro possono dire di avere sempre sostenuto il pugno di ferro, mentre i loro avversari hanno spesso tentennato. In secondo luogo perché gli elettori israeliani (specie quelli delle città del Negev), consci che l’aggressione di Gaza non ha portato risultati concreti nel loro vivere quotidiani si rivolgeranno proprio ai falchi. L’idea criminale di Olmert-Barak-Livni, sponsorizzati dal finto pacifista Peres, capo dello Stato israeliano, il 10 febbraio potrebbe dimostrasi anche demenziale e autolesionista se, come dicono i sondaggi, la destra vincerà le elezioni a mani basse.

Oggi chi è più forte in Palestina?
Certamente il nucleo duro di Hamas, anche a discapito delle colombe dell’organizzazione fondamentalista e terrorista, esce rafforzato dall’aggressione israeliana. Ne esce praticamente distrutta l’immagine dei palestinesi moderati della Cisgiordania (che sono stati a guardare) e del presidente dell’Anp Abu Mazen, ormai privo di ogni credibilità e ritenuto da ampi settori della resistenza palestinese un fantoccio di Israele.
Il dato in qualche modo sconvolgente è che Hamas, organizzazione fondata nel 1987, è in qualche modo da ritenersi una creatura di Israele che agli albori arrivò addirittura a finanziarla occultamente per usarla in funzione anti-Arafat. Come accadde in Afghanistan agli americani con l’organizzazione di bin Laden, anche a Gaza gli israeliani hanno creato il mostro contro cui oggi sono impegnati.

Le vittime civili si potevano evitare?
Una domanda questa che ha già avuto una risposta più sopra. Ma che merita un approfondimento. Le scuole dell’Onu colpite dall’aviazione e dall’esercito israeliano, il tiro sulle autoambulanze della crocerossa, il media center pieno di giornalisti centrato sul finire dell’attacco, la stessa casa del ginecologo Izzedin Abu al-Aishxy distrutta il 16 gennaio con tre figlie dentro mentre il padrone di casa era in diretta sulla tv israeliana Canale 10, la dicono lunga sulla volontà israeliana di non distinguere tra palestinesi combattenti di Hamas e inermi, soprattutto donne, anziani e bambini.
E’ impensabile che 418 bambini siano da considerare “effetti collaterali” di attacchi mirati. Né vale la mai dimostrata affermazione di parte israeliana che le case civili colpite da missili, bombe, granate e colpi di cannone siano stati covi di estremisti islamici che tenevano in ostaggio dei civili. E’ una bugia che Israele ha cercato di accreditare anche nell’estate del 2006, durante l’aggressione al Libano, quando bombardò in Libano la scuola di Cana.
Ma proviamo ad ammettere solo per un attimo che le menzogne di Israele abbiano un fondamento. In qualsiasi contesto gli ostaggi hanno diritto alla protezione. Se davvero donne e bambini erano ostaggi di spietati criminali terroristi di Hamas perché bombardarli? Quando degli ostaggi sono tenuti prigionieri, ad esempio in una banca, il compito di chi interviene è quello per prima cosa di tutelare la vita degli ostaggi. Quando l’equazione diventa ostaggi palestinesi uguale nemici palestinesi tout court non c’entra più neanche la guerra. Si tratta solo di elementari principi di civiltà. Che, evidentemente, Israele, paese che si dice democratico, non possiede.
Uno degli elementi che in ogni guerra spinge gli attaccanti a non tenere conto dei civili deriva da una convinzione sbagliata. Quella che se terrorizzi i civili, gli stessi si rivolteranno contro i loro leader. E’ accaduto che avessero questa errata convinzione gli americani che durante la seconda guerra mondiale rasero al suo città d’arte e prive di qualsiasi infrastruttura bellica come Dresda, senza però che gli abitanti di questa città muovessero un dito contro i loro capi nazisti. E’ accaduto, ancora agli americani, nella guerra del Kosovo (1999) quando deliberatamente attaccarono un treno carico di passeggeri serbi e la torre della televisione di Belgrado. Più recentemente è accaduto in Georgia dove l’aviazione e i carri armati russi hanno martoriato la popolazione civile. Risultato: mai nessuna ribellione interna.
L’unico vero effetto sui civili martoriati è che gli stessi anziché ribellarsi ai loro capi politici, si stringono ancora di più attorno a loro.

Israele ha usato o no armi illegali?
Per rispondere a questa domanda pubblichiamo in fondo a questo numero della Newsletter un articolo di Massimo Zucchetti, esperto in armamenti.

Cosa sono i razzi Qassam usati da Hamas?
Il razzo Qassam è un rudimentale ordigno in acciaio pieno di esplosivo prodotto da Hamas. Ne esistono diversi modelli che hanno una gittata che varia dai 3 ai 45 chilometri. Non hanno bisogno di artiglieria per essere lanciati e sono privi di qualsiasi sistema di guida.
Lo sviluppo di questo tipo di arma è iniziato nel 2000. Si tratta di razzi, scarsamente intercettabili, costruiti con l’apposito intento di mettere in difficoltà lo stato ebraico. A partire dal 2000 Hamas ha lanciato sulle città del Negev (le più colpite Ashlkelon e Sderot) oltre nove mila di questi razzi, provocando complessivamente dieci vittime. Teoricamente un Qassam potrebbe colpire anche Tel Aviv.
I danni provocati dai Qassam sono sempre assai limitati e comunque non paragonabili a quelli delle armi convenzionali e non convenzionali di cui dispone Tsahal (l'esercito israeliano), ma hanno comunque un fortissimo impatto emotivo sulla popolazione israeliana che vive nelle zone limitrofe alla Striscia di Gaza fino a 45 km da essa. C’è da aggiungere che la facilità di costruzione ed il loro basso costo rendono per Israele la minaccia costante e cronica e certamente non limitata ad un periodo di tempo.

Perché Israele ha paura dell'informazione?
Evidentemente perché ha la coscienza sporca e vuole agire indisturbata. Ecco cosa afferma il segretario generale di Reporters sans frontiéres, Jean-Francois Juluard:

“Durante gli attuali combattimenti l'informazione sembra essersi fermata alle porte di Gaza. Il blocco - l'ennesimo - imposto alla stampa dall'inizio dell'operazione «Piombo fuso» pone i giornalisti stranieri ed israeliani nella più assurda delle situazioni: non possono avvicinarsi né documentare da vicino quello che è già risaputo a livello internazionale. Una situazione paradossale, come ammette anche un portavoce della diplomazia israeliana per il quale «l'esclusività della copertura del conflitto è lasciata unicamente ai giornalisti palestinesi». Le immagini e le informazioni offerte dai reporter di Gaza riescono invece a cortocircuitare il blocco imposto e la comunità internazionale le riceve: assurdo, inutile e pericoloso. Il conflitto israelo-palestinese non è un conflitto come gli altri proprio perché porta in sé l'impatto della storia e della sua reinterpretazione. Bloccare i professionisti dell'informazione internazionali ed israeliani alle porte di Gaza non potrà che alimentare le voci ed esasperare l'odio. Se Tsahal non vuole i giornalisti, questo significa che Israele ha qualcosa da nascondere. Possiamo già immaginare le conseguenze di questo tipo di situazione. E nessuno ha interesse a che ciò accada, tanto meno Israele”.

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